ARESE – In Alfa Romeo era attivo un Coordinamento donne formato dai sindacati metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm, corrispondenti alle tre sigle confederali Cisl, Cgil e Uil: ogni delegata, di ogni reparto, si occupava dei problemi che le donne erano costrette ad affrontare in fabbrica.
Fra le battaglie più importanti, vi fu quello di combattere l’impiego delle ragazze nei reparti forgia e fonderia sugli alti forni. Si trattava in prevalenza di operaie assorbite da fabbriche in crisi, come l’Alemagna o la Motta, ricordando che fino al 1987 l’Alfa Romeo era un gruppo delle partecipazioni statali a capitale pubblico (Iri) in cui veniva ricollocato del personale proveniente da aziende in crisi.
Perché occupare le donne in ambienti difficili?
“Lo fecero di proposito – racconta Ornella Micheloni, presidente della Fondazione 25 Aprile, – per poi dire che non avrebbero retto. L’azienda era già in fase di smantellamento. Gli uomini del sindacato mettevano le donne sullo stesso piano dei colleghi maschi malati, perché, dicevano, anche gli uomini si ammalano. Sì certo, noi rispondevamo, bisogna pensare anche ai malati. Ma queste sono ragazzine di 18 anni che semmai diventeranno delle madri. Noi, allora come oggi, sostenevamo ‘la parità nella diversità’. Ossia tutelare un corpo che avrebbe affrontato la maternità. Tant’è che una lavoratrice poi il bimbo l’avrebbe perso quando ancora lavorava in fonderia. Noi facemmo la battaglia e chiedemmo un consiglio di fabbrica sull’aborto, che però i sindacalisti maschi non volevano tenere. Era il 1981, il periodo del referendum sull’aborto e il tema era sensibile. Le due parti non volevano turbative politiche. Come Coordinamento donne tenemmo duro e votammo all’unanimità con la sola astensione di una delegata della Iulm. Siamo arrivati a fondare la Flm (federazione lavoratori metalmeccanici) per cui ci mettemmo tutti assieme, senza più distinzione di sigle. Su un consiglio di fabbrica di cinquecento delegati sindacali, le donne erano un centinaio. Per risolvere il problema delle ragazze in fonderia, ci siamo basate sulla pianificazione dicendo: sono necessarie cento persone nei reparti, si programma prima la manodopera in modo da evitare che le donne vengano impiegate sui forni”.
In Alfa Romeo il rapporto di genere era inversamente proporzionale tra operai e impiegati: i primi, prevalentemente uomini, erano impiegati nei reparti produttivi. I secondi, prevalentemente donne, negli uffici.
“Al centro tecnico – continua Ornella – c’era la parte femminile, ma i tecnici erano certamente una realtà maschile. Al direzionale, eravamo in un migliaio di impiegati, soprattutto donne. Ma nel 1973, la società maschilista faceva fatica a riconoscere il ruolo femminile. Ricordo, che se in ufficio c’ero io, un’altra donna e quattro uomini, chi entrava e aveva bisogno di un’informazione veniva da noi. Se invece era per lavoro, si rivolgeva al collega maschio.
Una volta si è tenuta al centro tecnico una riunione importante su marketing, qualità e produzione con l’ingegner Di Pietro, che era il responsabile di tutto lo stabilimento, ed era necessario pianificare la produzione di un determinato modello. Il nostro ufficio si occupava del programma operativo mensile delle vetture sulla base delle esigenze che chiedevano i mercati, anche esteri. Negli anni 70 qui ad Arese producevamo cinquecento macchine al giorno. A Pomigliano un po’ meno di quattrocento.
Il mio superiore non c’era per un problema di salute e io lo dovetti sostituire in questa riunione. Una decina di uomini. Tutti i massimi livelli. Per la logistica di prodotto, c’ero io. Tutti gentilissimi. Io ho spiegato il mio e come ogni riunione importante si era verbalizzato. Arriva il verbale, steso da un ingegnere della qualità: nove interventi, tutti riportati per bene, ma non c’era il mio. Ossia non c’era la logistica di prodotto che diceva quello che si sarebbe dovuto fare. Non era un affronto a me. Era venuta a mancare la mia funzione”.
Appurato che l’Ornella non era stata un soprammobile, l’estensore, con tante scuse per la dimenticanza, ha successivamente rifatto il verbale.
“Io ero molto giovane – racconta Ornella – e quindi a me partiva l’embolo ogni due per tre. Mi scuso, diceva, lei deve sapere che nella vita ho due passioni: i motori e le donne. Mi sono cadute le braccia e gli ho detto: guardi, è meglio che stia zitto. Questo era il livello. Quando ci ha comprato la Fiat, la divisione Fiat Gesto (gestione e contabilità) e poi Fiat Service, stampava un giornalino e un giorno decisero di riprendere anche Centro Direzionale.
Arrivarono i fotografi. Mandano fuori tutte le ragazze, tranne me un’altra collega in rappresentanza delle donne. Le più belle, quelle che apparivano di più. E io, con tutta la lotta che avevo sempre fatto, mi sono ritrovata nel ruolo di ‘donna oggetto’. Poi certo le battaglie le ho fatte tutte, e devo dire che il direttore Italo Rosa, mi fece una bellissima dedica personale, dicendo che se la Fondazione 25 Aprile stava ancora in piedi, lo si doveva alla sua presidente Ornella Micheloni”.
Ombretta T. Rinieri
(intervista esclusiva)
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