Da azienda all’avanguardia alla retrocessione. Orgogliosamente donna, politicamente e socialmente impegnata è però lucida nel riconoscere i travisamenti degli ideali
ARESE – In Alfa Romeo, Ornella Micheloni era impiegata nell’ufficio Direzione vendita, programmazione e assegnazione per la quale redigeva i dati giornalieri della produzione automobilistica di Arese.
“Quando arrivò la Fiat – racconta Ornella – mi dispiace doverlo dire, ma è così, ho svolto un lavoro bellissimo, che mi ha portato a seguire tutti i saloni, le vetture per la pubblicità, le vetture per il marketing, le vetture della qualità, le vetture blindate, tutte quelle particolari. Scrivevo i fax in inglese e in francese e a Torino copiavano le mie tabelle. Loro erano indietro su tutto.
Ricordo lo shock che provai quando, dopo anni di badge, vidi rimontare in tutto il centro direzionale l’orologio e i cartellini di cartone per timbrare le entrate e le uscite. Prima tutto era registrato automaticamente. Dopo c’era un foglio presenza, grande come un lenzuolo, in cui si doveva segnare quello che esulava le otto ore di lavoro: l’ora di permesso personale, l’ora di permesso sindacale, l’indisposizione ecc. ecc. Il foglio andava poi ai colleghi che dovevano redigere le buste paga. Era il 1987. Avevo 33 anni e venivo da anni di avanzamento tecnologico. E’ stato impressionate. Un arretramento pazzesco”.
Ornella Micheloni è stata assunta in Alfa Romeo nel giugno-luglio 1973.
“Sono entrata – spiega – grazie a una raccomandazione. Mia mamma era segretaria d’alta direzione all’Inam di piazzale Accursio, a Milano, e con l’Alfa Romeo del Portello aveva stretti rapporti per le malattie del personale. In realtà lei voleva farmi entrare all’Inam. Sei a posto per tutta la vita, mi diceva, e il venerdì smetti presto di lavorare. Ma io avevo già allora la passione per la politica. Fra noi studenti di sinistra c’era un gran fermento. In san Babila (dove negli anni 70 si scontravano i ragazzi di sinistra vestiti con l’eschimo e quelli di destra con i loden e le scarpe a punta, ndr), mi sono presa un pugno in faccia.
Erano anni così. Di ideali forti e soprattutto, col senno di poi, anche di incoscienza: san Babila? Scartiamola. Direi oggi. Adesso noi ci scandalizziamo e giustamente ci preoccupiamo di quelli che chiamiamo rigurgiti fascisti. Viene detto che i morti sono tutti uguali. Ma va ricordato che c’era gente, i partigiani, che combattevano dalla parte giusta. Dopodiché la pietà non si nega a nessuno.
Ma posso anche dire, che quando avevo 18 anni, ho conosciuto tanti giovani di destra, anche fascisti, più compagni dei compagni. E, haimé, tanti compagni che erano più fascisti dei fascisti.
Ciò che voglio dire è che le persone che, in buona o in cattiva fede, travisano gli ideali ci sono sempre state.
Tutti i lavoratori dell’Alfa Romeo, dai dirigenti all’ultimo operaio, avevano la tessera sindacale. Poi è arrivata la Fiat. Sono arrivati i commissari in fabbrica: se volete i documenti di merito, via la tessera sindacale. Le hanno ridate tutti.
Quando hanno cominciato a smantellare la fabbrica, Pietro Ichino diceva che i lavoratori dell’Alfa Romeo non riuscivano a trovare lavoro perché avevano questa mentalità di muoversi collettivamente, ma che se si fossero mossi individualmente nella ricca Lombardia, il lavoro c’era.
Smantelli, smantelli, smantelli , la solitudine. Quanti si sono suicidati nella prima cassa integrazione dell’Alfa Romeo. Per dire che è un processo che parte da lontano. Oggi vige l’indifferenza.
Milano è diventata una città per ricchi. Gli studenti sono in tenda? Se tuo figlio non studia, non ti tocca. Ognuno è focalizzato solo sul proprio interesse”.
O.T.R.
Articolo pubblicato su “Il Notiziario” del 18 aprile 2025 a pag. 57
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