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Iss. Dossier “Apertura delle scuole e andamento dei casi confermati di Sars-Cov-2: la situazione in Italia”

La riapertura delle scuole nel settembre 2020 ha aumentato o no  il rischio epidemiologico di circolazione del  virus?

 

MILANO – Il ruolo delle scuole nella diffusione del  contagio fra bambini e ragazzi e a cascata nelle famiglie  è discusso da opinionisti, virologi, epidemiologi e quant’altro, spesso discordi fra loro.

Il 4 gennaio l’Istituto superiore di sanità ha pubblicato il rapporto:  “Apertura delle scuole e andamento dei casi confermati di Sars-Cov-2: la situazione in Italia”, che redatto dal Dipartimento malattie sulla base dei dati comunicati all’Iss tenta di dare il quadro della situazione. 

Il rapporto analizza  l’andamento epidemiologico nazionale e regionale dei casi di Covid-19 fra i bambini e i ragazzi dai 3 ai 18 anni nel periodo compreso tra il 24 agosto e il 27 dicembre 2020 e basa le sue evidenze sulla rilevazione di potenziali casi o cluster, seguita da un ampio tracciamento dei contatti e follow-up per determinare se eventuali contatti stretti sviluppano sintomi e risultano positivi per Sars-Cov-2 entro il periodo di incubazione di quattordici giorni.

 

Metodo

Il Servizio di sorveglianza integrata  microbiologica ed epidemiologica del virus da parte dell’Istituto superiore di sanità raccoglie, confronta e analizza in modo sistematico le informazioni su tutti i casi confermati con la diagnosi molecolare nei laboratori regionali italiani.

 

La sorveglianza  è partita con la  circolare ministeriale n.1997 del 22 gennaio 2020 che conteneva i primi criteri e le modalità di segnalazione dei casi di infezione da Sars-CoV-2, cui sono seguiti con l’evolversi della pandemia altre circolari. Il 27 febbraio 2020 la Protezione Civile ha poi affidato con l’ordinanza 640 la sorveglianza epidemiologica  all’Istituto Superiore di Sanità.

 

Quotidianamente Regioni e pubblica amministrazioni inviano all’Istituto i dati relativi a tutte le persone risultate con tampone positive al virus. Il Dipartimento di malattie infettive processa e analizza i dati della piattaforma e li rende disponibili in modalità aggregata per consentire l’analisi dell’epidemia in tutto il Paese.

 

I dati raccolti, oltre alla data di diagnosi, includono, tra le altre informazioni, l’età, il comune di residenza e, anche se non obbligatorio, l’informazione se il caso fa parte del personale scolastico (distinto in docente e non docente) oppure se è uno studente, anche se spesso il campo non è compilato.

 

I dati del dossier pubblicato si riferiscono alla data di prelievo-diagnosi con la precisazione in premessa che “a causa dei tempi che intercorrono tra l’esposizione al patogeno e lo sviluppo di sintomi e tra l’inizio dei sintomi e la diagnosi, è verosimile che tra il momento dell’infezione e la data di diagnosi trascorrano circa una –due settimane.  

 

 

Popolazione pediatrica e popolazione  scolare

In Italia la popolazione pediatrica è del 15,8% rispetto agli altri residenti ed è così suddivisa: 1,4%  tra 0 e 1 anno;  4,1% tra 2 e 6 anni; 5,6% tra 7 e 12 anni;  4,8% tra 13 e 17 anni. La popolazione in età scolare, compresa tra i 3 e i 18 anni è del 15% rispetto agli altri residenti  per un totale di circa 8,9 milioni fra  bambini e ragazzi.

 

 

Il contagio con la riapertura delle attività. I neonati i più ospedalizzati e i più gravi

La riapertura progressiva di tutte le attività nella fase di transizione dal 4 maggio al 13 settembre 2020 ha provocato un aumento del tasso di contagio nei bambini e negli adolescenti, passato dall’1,8%  (6.197) del lockdown all’8,5% (73.206).

 

Nei minori di 18 anni, un primo picco dell’epidemia si è verificato alla fine di marzo ed un secondo a partire dall’ultima settimana di agosto fino alla metà di settembre, mentre la maggior parte dei casi asintomatici è stata rilevata nella seconda fase dell’epidemia (sia per i minori di 18 anni che per le altre fasce d’età).

 

A partire dall’allentamento del lockdown (4 maggio 2020), la maggior parte dei casi diagnosticati si è verificata per il 41,3% negli adolescenti di età compresa tra 13 e 17 anni (2.558), per il 28% nei bambini di 7-12 anni (1.736),  per il 21% nei bambini di 2-6 anni (1.303) e per il 9,7% per i neonati 0-1 anno (600).

 

Il tasso di ospedalizzazione è stato del 4,8 per cento e del 4,3 quello dei piccoli pazienti in terapia intensiva.  La percentuale più alta di ricoveri ospedalieri si è verificata nei neonati di età ≤1 anno: 16,2 per cento. 

 

Patologie croniche sottostanti sono state riscontrate nel 2,8% di tutti i casi e nel 5,3% dei pazienti ospedalizzati. I pazienti asintomatici e paucisintomatici rappresentavano rispettivamente il 71,2% e l’8,4% per cento dei casi di Covid-19.

 

I bambini con infezione lieve rappresentavano il 18,5%  della popolazione pediatrica; i soggetti con infezione grave o critica il 2 per cento. In quest’ultimo gruppo i neonati di età ≤1 hanno mostrato la percentuale più alta, ossia 7,2 per cento,  mentre gli altri gruppi di età erano appena sopra l’1 per cento.

 

 

Dalla fine del lockdown aumento dei casi pediatrici. Ma meno gravi che nella fase di transizione

Dal 3 giugno 2020, quando sono stati consentiti i movimenti e gli spostamenti interregionali e nell’area dell’Unione Europea, circa il 19%, pari a 1.001 su 5.312 rilevati in minori di 18 anni, sono stati importati.

 

Le regioni italiane del Nord-Ovest (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia) hanno segnalato il 33,4%  dei casi pediatrici totali, seguite dalle regioni del Nord-Est (30,8%), Centro (16,6%), Sud e Isole (19,3%).

 

In Italia, l’aumento dei test ha contribuito ad una migliore rilevazione della diffusione dell’infezione e i casi di Covid-19 diagnosticati in minori di 18 anni hanno iniziato ad aumentare subito dopo l’allentamento del lockdown, come osservato negli Stati Uniti.

 

Nella fase di transizione dell’epidemia la distribuzione dei casi pediatrici diagnosticati tra le fasce di età era simile a quella osservata nella fase di lockdown, ma è diminuito il numero dei ricoveri e la severità dei casi, mentre è aumentato il numero dei pazienti asintomatici diagnosticati.

 

 

Riapertura delle scuole e introduzione della didattica a distanza

In Italia, le scuole di ogni ordine e grado sono state chiuse con il Dpcm del 4 marzo 2020 e riaperte con l’inizio del nuovo anno scolastico tra il 14 e il 24 settembre 2020. Molte regioni avevano disposto la Dad (didattica a distanza) per il 50 per cento delle scuole secondarie di secondo grado. Il Dpcm del 25 ottobre 2020 ha poi disposto di garantire Dad almeno al 75 per cento dell’attività scolastica, anche se alcune ordinanze regionali avevano già stabilito la quota del 100 per cento. Decisione che viene presa dal governo Conte con il decreto del 3 novembre 2020 per tutte  le scuole secondarie di secondo grado.

Chiusura, che dal 4 novembre, è estesa anche per le scuole secondarie di primo grado (eccetto il primo anno) nelle regioni in  “area rossa”, ossia   Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Calabria e Provincia autonoma di Bolzano. Cui seguono dal 13 novembre Campania e Toscana e dal 20 novembre  l’Abruzzo.

 

 

Andamento epidemiologico nazionale e regionale delle diagnosi di casi di Covid-19 in età scolare (3-18 anni)

Stando alle diagnosi tra il 24 agosto e il 27 dicembre i casi positivi in Italia al Sars-Cov-2 sono stati  1.783.418. Di questi 203.350 in età scolare tra i 3 e i 18 anni. L’11 per cento. La percentuale in bambini e adolescenti  è aumentata dal 21 settembre al 26 ottobre con un picco del 16% nella settimana dal 12 al 18 ottobre.

 

Il 40 per cento dei casi in età scolare ha riguardato gli adolescenti tra i 14 e i 18 anni, seguiti dai bambini delle scuole primarie di 6-10 anni (27%), dai ragazzi delle scuole medie di 11- 13 anni (23%) e dai bambini delle scuole per l’infanzia di 3-5 anni (10%).

 

Nel mese di settembre, l’età mediana dei casi in età scolare è stata di circa 12 anni, per poi aumentare leggermente nel mese di ottobre e tornare al valore precedente a novembre e dicembre. La distribuzione dei casi tra femmine e maschi è risultata totalmente bilanciata a livello nazionale, ma con lievi differenze a livello regionale, talvolta con percentuali un po’ più alte per i maschi nel mese di settembre, prima della riapertura delle scuole.

 

 

A scuole aperte, aumento progressivo dei contagi fino a oltre i 4mila casi di novembre 

Da metà settembre (riapertura delle scuole 14-24 settembre), i casi giornalieri di contagio diagnosticati sono cresciuti progressivamente in bambini e adolescenti dai 3 ai 18 anni di età, che ha raggiunto la fase di picco dal 3 al 6 novembre con oltre 4mila casi. Successivamente la curva ha iniziato progressivamente a scendere, con un andamento simile a quello della popolazione generale.

 

 

Curva epidemiologica per fasce d’età

Per classi d’età, il picco della curva epidemiologica è stato raggiunto prima per gli adolescenti di 14-18 anni con quasi 2mila casi e poi dai pre adolescenti  11-13 anni con oltre mille casi dal 27 al 30 ottobre, seguiti dai bambini delle scuole primarie di 6-10 anni  con oltre 1.100 casi dal 3 al 6 novembre, e dai bambini delle scuole per l’infanzia di 3-5 anni con circa 400 casi dal 9 all’11 novembre.

 

ll picco di incidenza giornaliero nel periodo in esame è stato di circa 43 casi ogni 100mila abitanti tra i 3 e i 18 anni, inferiore nelle altre classi di età (>18 anni: 60/100mila ab.). In età scolare, si riscontra un aumento dell’incidenza con l’aumentare dell’età, i valori più alti si osservano per i ragazzi di 14-18 anni (57 ogni 100mila ab) e 11-13 anni (53 ogni 100mila ab), seguiti dai bambini di 6-10 anni (37 ogni 100mila ab) e 3-5 anni (24 ogni 100mila ab).

 

I picchi di incidenza più alti sono stati riscontrati in Valle d’Aosta (circa 200 ogni 100mila ab) nella classe di età 14-18 anni e in Lombardia, Liguria, Provincia autonoma di Bolzano (intorno a 100 casi ogni 100.000ab) nelle fasce di età 14-18 e 11-13 anni.

 

 

Ospedalizzazione

Elevato il tasso di ospedalizzazione dei bambini tra i 0 e i 3 anni: 6,2 per cento. Quasi come quello della popolazione adulta che è dell’8,3 per cento. Solo dello 0,7%  quello della popolazione scolastica.

 

 

Personale scolastico

Il picco dei casi di Covid-19 tra il personale scolastico (circa 400 casi) è stato osservato nella prima settimana di novembre. Il maggior numero di positivi si è registrato in Piemonte, con un picco di oltre 200 casi.

 

Focolai scolastici

Nel periodo 31 agosto – 27 dicembre 2020, il sistema di monitoraggio ha rilevato 3.173 focolai in ambito scolastico, che rappresentano il 2 per cento del totale dei focolai segnalati a livello nazionale. L’andamento settimanale ha registrato  un progressivo aumento dei focolai con un picco nelle settimane dal 5 al 25 ottobre, una graduale diminuzione fino al 22 novembre e un nuovo aumento fino al 13 dicembre seguito da una stabilizzazione nella seconda metà del mese.

 

Il rapporto sottolinea il numero dei focolai scolastici è sottostimato, da una parte a causa dei diversi criteri di classificazione dei focolai nella scuola a livello regionale e dall’altra a causa della ridotta capacità di tracciamento dei contatti per la difficile situazione venutasi a creare con l’aumento dei casi che ha limitato  la possibilità dei sanitari di effettuare indagini accurate. E regioni come Basilicata, Campania, Liguria, Molise, Sardegna e  Valle d’Aosta  non sono state in grado di riportare l’informazione relativa al setting in cui si sono verificati i focolai.

 

 

Contesti d’infezione. La scuola non risulta tra i focolai prevalenti. i dati però sono spesso carenti e incompleti

Secondo il rapporto,  le scuole non rappresentano i primi tre contesti di trasmissione in Italia, che sono nell’ordine il contesto familiare-domiciliare, sanitario assistenziale e lavorativo. A metà ottobre, ad un mese dalla riapertura delle scuole, la percentuale dei focolai in cui la trasmissione poteva essere avvenuta in ambito scolastico era intorno al 3,7% del totale, valore che poi si è progressivamente ridotto.

Purtroppo, la forte pressione sui dipartimenti di prevenzione verificatasi nel mese di novembre, a causa dall’intensificarsi dell’epidemia e del conseguente forte aumento dei casi in tutta la popolazione, ha portato in alcune aree a un ritardo nella notifica e nell’aggiornamento delle informazioni sui casi individuali e anche le informazioni presenti nel sistema di sorveglianza sulla possibile esposizione al virus del personale scolastico sono spesso carenti ed incomplete.

 

 

Nella prima ondata, contagi sottostimati. Nella seconda più casi, ma con pochi focolai a scuola

Nella prima fase dell’epidemia venivano testati solo i casi sintomatici. I bambini, che  hanno maggiori probabilità di avere un’infezione asintomatica rispetto agli adulti, sono stati per lo più esclusi dai test e ciò avanza il dubbio che potrebbero non essere stati rilevati o essere stati sottostimatialterando la loro reale proporzione sulla popolazione complessiva”.

 

Nella seconda fase dell’epidemia, invece, con l’allentamento del lockdown e  il tracciamento sistematico digitale dei contatti la maggiore capacità diagnostica è stato rilevato un maggior numero di casi, anche asintomatici. E “dopo la riapertura delle scuole, nel mese di settembre 2020, l’andamento dei casi di Covid-19 nella popolazione in età scolastica ha seguito quello della popolazione adulta, rendendo difficile identificare l’effetto sull’epidemia del ritorno all’attività didattica in presenza.

 

Tuttavia, pur con le scuole del primo ciclo sempre in presenza, salvo che su alcuni territori regionali, la curva epidemica mostra a partire da metà novembre un decremento, evidenziando un impatto sicuramente limitato dell’apertura delle scuole del primo ciclo sull’andamento dei contagi…Inoltre, la percentuale dei focolai in ambito scolastico si è mantenuta sempre bassa”.

 

 

Conclusioni

Secondo le conclusioni contenute nel rapporto dell’Istituto superiore della sanità, “La decisione di riaprire le scuole comporta un difficile compromesso tra le conseguenze epidemiologiche e le esigenze educative e di sviluppo dei bambini. Per un ritorno a scuola in presenza, dopo le misure restrittive adottate in seguito alla seconda ondata dell’epidemia di Covid-19, è necessario bilanciare le esigenze della didattica con quelle della sicurezza. Le scuole devono far parte di un sistema efficace e tempestivo di test, tracciamento dei contatti, isolamento e supporto con misure di minimizzazione del rischio di trasmissione del virus, compresi i dispositivi di protezione individuale e un’adeguata ventilazione dei locali.

 

Secondo l’Oms, la decisione di chiudere, (completamente o parzialmente) o riaprire le scuole dovrebbe essere guidata da un approccio basato sul rischio, per massimizzare i benefici in termini di didattica, benessere e salute per gli studenti, gli insegnanti e il personale ausiliario e allo stesso tempo essere in grado di prevenire nuove ondate dell’epidemia di Covid-19″.

 

 

Criteri su cui basare l’apertura o la chiusura delle scuole

Tenere presente: intensità di trasmissione nell’area in cui opera la scuola (nessun caso, trasmissione sporadica; presenza di cluster o trasmissione di comunità); impatto complessivo della chiusura delle scuole su istruzione, salute generale, benessere sulle popolazioni fragili; efficacia delle strategie di apprendimento a distanza; capacità di rilevazione dei casi e risposta da parte delle autorità sanitarie locali; capacità delle scuole e istituzioni educative di operare in sicurezza; tenere conto dell’epidemiologia a livello locale, poiché la trasmissione del virus può variare da un luogo all’altro all’interno di un Paese; implementare nelle attività extra e peri-scolastiche distanziamento fisico e  uso della mascherine per evitare catene di trasmissione; valutare il rischio epidemiologico attraverso test diagnostici e screening; procedere a isolamento e quarantena quando indicati; adottare le precauzioni consolidate di mascherina, lavaggio delle mani, ventilazione delle aule.

 

 

Il dubbio

L’ European Centre for Disease Prevention and Control  nel documento “Covid-19 in children and the role of school settings in Covid-19 transmission”  sostiene che, sebbene meno del 5 per cento dei casi di Covid-19 segnalati nei Paesi dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo e nel Regno Unito riguardi persone di età inferiore ai 18 anni, il ruolo dei bambini nella trasmissione della Sars-CoV-2 rimane poco chiaro.

Resta d’ approfondire la conoscenza di come il Covid-19 colpisca bambini e giovani, poiché il ruolo delle misure scolastiche nel ridurre la trasmissione del virus dipende dalla suscettibilità dei bambini alle infezioni e dalla loro contagiosità una volta infettati.

 

Ombretta T. Rinieri

Fonte