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Censura ad Arese? Registrazioni audio, video e foto dei consigli comunali solo dopo aver chiesto l’ok alla presidente

cc271114-fotoARESE In sfregio alla Costituzione,  alla libertà di stampa e al diritto di cronaca, il consiglio comunale di Arese ha approvato nella seduta del 29 gennaio 2015 un regolamento in base al quale per registrare, fotografare e riprendere la seduta cittadina si obbligano giornalisti e cittadini  a chiedere un’autorizzazione scritta alla presidente del consiglio comunale, che a suo giudizio potrebbe anche negarla.  Il documento approvato sarebbe una seconda stesura ‘più morbida’, frutto di una mediazione con la minoranza consiliare, perché a dire dei consiglieri di Arese al Centro la prima conteneva maglie ancora più strette.

L’approvazione del  “regolamento per la disciplina delle attività di ripresa audiovisiva e di diffusione delle sedute del consiglio comunale    è stata fra gli ultimi atti deliberativi della seduta, avvenuto a notte inoltrata e con poche battute fra i consiglieri. I cronisti, sorpresi, da tanta mancanza di trasparenza hanno dovuto attendere qualche giorno per venire in possesso di un documento che dietro una travisata interpretazione della legge sulla privacy, appalesa intenti censori. 

“Attentato alla Costituzione?” , domanda infatti  appena conosciuta la notizia  sul suo sito Franco Abruzzo, storico presidente dell’Ordine dei giornalisti di Milano, attuale  consigliere dell’Odg della Lombardia e dell’Associazione della Stampa e, fra le altre molte cariche, docente di diritto dell’informazione alla Iulm di Milano e di storia del giornalismo all’Università degli studi di Milano Bicocca.

Scrive Franco Abruzzo sul sito: 

ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE? – Il Consiglio comunale di Arese ha approvato – in violazione dell’articolo 21, I e II comma, della Costituzione e del dlgs 196/2003 sulla privacy – un “regolamento per la disciplina delle attività di ripresa audiovisiva e diffusione delle sedute del consiglio comunale”. I cronisti costretti a chiedere l’autorizzazione per le registrazioni audiovisive alla presidente del consiglio comunale, che può anche negarle. Franco Abruzzo: “Il prefetto di Milano spieghi a sindaco e consiglieri del Comune di Arese che ‘la stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o censure’ e che i giornalisti, come ha scritto la Cassazione, possono trattare dati personali anche prescindendo dal consenso dell’interessato e, con riferimento ai dati sensibili e giudiziari, senza una preventiva autorizzazione di legge o del Garante. Questi assunti sono scritti negli articoli 136 e seguenti del dlgs 196/2003 sulla privacy che ha un allegato A dedicato al Codice di deontologia dei giornalisti”.

7.2.2015. Il prefetto di Milano dovrebbe spiegare al sindaco e ai consiglieri del Comune di Arese che ‘la stampa non può essere  soggetta ad autorizzazione o censure’ e che i giornalisti, come ha scritto la Cassazione, possono trattare dati personali anche prescindendo dal consenso dell’interessato e, con riferimento ai dati sensibili e giudiziari, senza una preventiva autorizzazione di legge o del Garante. Questi assunti sono scritti negli articoli 136 e seguenti del dlgs 196/2003 sulla privacy che ha un allegato A dedicato al Codice di deontologia dei giornalisti” (in http://www.garanteprivacy.it/home/provvedimenti-normativa/normativa/normativa-italiana). 

Non si possono non evocare questi giudizi all’indomani dell’approvazione da parte del Consiglio comunale di Arese  – in violazione dell’articolo 21, I e II comma, della Costituzione e del dlgs 196/2003 sulla privacy – di un “regolamento per la disciplina delle attività di ripresa audiovisiva e diffusione delle sedute del consiglio comunale”. Una vicenda segnalataci  dalla giornalista Ombretta Tiziana Rinieri: “I cronisti  sono costretti a  chiedere l’autorizzazione per le registrazioni audiovisive alla presidente del consiglio comunale, che può anche negarle”. La legge 196/2003 prevede uno statuto particolare per l’attività giornalistica, che rifugge dalla previsione di regole rigide e minuziose e che affida in prima battuta il bilanciamento tra i diritti e le libertà allo stesso giornalista il quale, in base ad una propria valutazione, acquisisce, seleziona e pubblica i dati utili ad informare la collettività su fatti di rilevanza generale ed interesse pubblico, esprimendosi nella cornice della normativa vigente e nel rispetto del proprio codice di deontologia. Esso stabilisce che chi esercita l’attività giornalistica o altra attività comunque riconducibile alla libera manifestazione del pensiero possa trattare dati personali anche prescindendo dal consenso dell’interessato e, con riferimento ai dati sensibili e giudiziari, senza una preventiva autorizzazione di legge o del Garante. In caso di diffusione o di comunicazione di dati, il giornalista è peraltro tenuto comunque a rispettare alcune condizioni (art. 137, comma 3): i limiti del diritto di cronaca e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico, e i principi previsti dal codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica. In ordine ai dati giudiziari, il codice deontologico (art. 12), a sua volta, rinvia al principio di essenzialità dell’informazione (art. 5), in modo da evitare riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti.

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