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Betharram, il Monastero invisibile

I padri betharramiti Egidio Zoia ed Ennio Bianchi in un momento di celebrazione al Santuario della Fametta, che fa parte della parrocchia di San Guglielmo di Castellazzo

I padri betharramiti Egidio Zoia ed Ennio Bianchi in un momento di celebrazione al Santuario della Fametta, che fa parte della parrocchia di San Guglielmo di Castellazzo

CASTELLAZZO DI BOLLATE – In questi giorni Castellazzo è alla ribalta delle cronache per il festival musicale di “Villa Arconati”. Ma proprio vicino alla Villa, nella chiesetta di San Guglielmo, continua l’opera dei padri betharramiti. Il luogo, pur piccolo, attira persone da tutti i comuni vicini e lontani. Vi si respira un carisma particolare, un’accoglienza che parte ancora prima della messa, quando padre Egidio Zoia, saluta uno a uno, tutti coloro che arrivano per la celebrazione. Un sorriso, una stretta di mano, una parola e ognuno si sente importante.  Continuiamo l’intervista con il superiore  generale dei padri betharramiti, padre Gaspar Fernandez, alla ricerca del segreto teologico della congregazione nata da San Michele Garicois.

 

Perché, padre Gaspar,  il Monastero di Betharram è definito  anche “Monastero invisibile”?

“Parchè  mette in contatto persone isolate che  vogliono pregare senza farle sentire sole. Per esempio ammalati che non possono partecipare a gruppi di preghiera  o che non possono recarsi  in chiesa”.

 

Quindi al di fuori dello spazio ma non del tempo?

“Non del tempo. Perché significa che queste persone in un determinato momento pregano insieme anche se sono distanti”.

 

Perché orante?

“Perché sappiamo che tutti pregano anche se non si vedono”.

 

Quanti sono i betharramiti nel mondo?

“Siamo pochi, solo in duecentosessanta   – afferma – ma nel  mondo siamo presenti in quindici paesi”.

 

 Nei duecentosessanta vi sono anche i laici?

“No, solo fratelli consacrati”.

 

Qual è  la differenza? 

“Tutti  facciamo i voti, fratelli e sacerdoti. Questo è quello che abbiamo in comune. Ma alcuni ricevono l’ordine  sacro e altri non ricevono l’ordine sacro, ma fra di noi siamo fratelli. Non c’è nessuno che è più degli altri. Però chi non è ordinato sacerdote non può celebrare l’eucarestia, non può fare l’unzione dei malati, non può confessare. Ma ha altri servizi da compiere nella comunità”.

 

 Vi sono anche persone sposate?

“Nella congregazione no siamo solo uomini, alcuni sacerdoti, altri fratelli. Poi  vi  sono i laici. Alcuni sono sposati. Altri no”.

 

 Come sono viste le donne nella congregazione dei Padri Betharramiti?

“Per noi sono una novità, perché  in questo momento anche le donne vogliono vivere il nostro carisma che è stato pensato dal fondatore solo per gli uomini. Eppure notiamo che vi sono donne che a volte sono anche più fedeli di noi al carisma . Per noi si tratta di una sfida molto importante”.

 

 Immagino che anche i betharramiti stiano attraversando la crisi delle vocazioni?

“Sì. Soprattutto nei paesi europei come Francia, Spagna, Italia e Inghilterra. In questo momento non abbiamo nessuno. Stiamo accendendo gli animi in India, a Bangalore e Mangalore, dove  stati ordinati due sacerdoti e quattro diaconi. In Asia è interessante notare come la congregazione si stia diffondendo in Thailandia. I nostri padri erano  stati missionari in Cina dal 1922 e dal 1951, successivamente sono stati espulsi. Una parte è rientrata in Europa, soprattutto in Francia. Un’altra ha continuato la missione in Thailandia in attesa di tornare in Cina. Nel frattempo ha evangelizzato il Nord del Paese, al confine con la Birmania.  Là abbiamo hanno lavorato tantissimo e dato che la loro cultura è molto simile alla nostra il Vangelo è stato accettato bene. I nostri padri stavano per tornare perché ormai molto vecchi ed è avvenuto il miracolo delle vocazioni. La testimonianza di questi padri è stata  forte perché non vi erano le strade che vi sono adesso: per andare da un posto missionario all’altro dovevano percorrere due – tre giorni a piedi attraverso le montagne. Il sacro cuore ha lavorato molto e in questi mesi cinque giovani stanno prendendo i voti perpetui”.

 

 Diceva che in Europa non vi sono vocazioni. Forse la crisi dei valori. Ora poi si sta attraversando un periodo difficile dal punto di vista economico. La sofferenza si tocca con mano. Le persone perdono il lavoro. Nel Vecchio Continente la vostra proposta fa fatica a farsi strada…

“Sì, in questo momento non abbiamo nessuno. La situazione è difficile. Ma credo anche che fossimo in una società del benessere fittizio e che ora ci si stia accorgendo dell’illusione. Sta implodendo. Penso che le persone non siano stupide e che ci sia la necessità di ripensare ai valori. Soprattutto da parte dei giovani. Vedo che in Spagna, il paese che conosco maggiormente, tutti parto  per trovare un lavoro. Gli avevano  promesso una vita facile e tanti hanno speso soldi per cose che non avevano senso.

 

 Perché siete molto attenti alle vocazioni dei giovani? In realtà la ‘chiamata’ può avvenire in un qualsiasi momento del percorso della vita di una persona. Un giovane può anche pentirsi di aver intrapreso una strada così impegnativa e magari voler tornare indietro

“Sicuro che la vocazione può venire anche in una altro momento, ma sono situazioni sempre eccezionali. Normalmente le grandi decisioni si prendono durante la gioventù, sia per sposarsi sia per altre condizioni della vita.

 

Quindi in questo senso la chiesa è tradizionalista?

“E’ tradizionalista perché avvalora la persona in ogni momento della sua vita e secondo le possibilità”

O.T.R.