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Non c’é pace per l’ex Alfa Romeo: licenziati 61 operai di Innova Service

ARESE – (o.t.r.) Oggi i lavoratori di Innova Service hanno tenuto un’assemblea permanente alla portineria sud-ovest dell’Alfa Romeo di Arese per protestare contro i licenziamenti di 62 operai dell’ex Biscione, rimasti improvvisamente senza stipendio e contributi.

Secondo lo Slai Cobas, che guida la protesta, la manova nasconderebbe speculazioni Fiat in vista dell’arrivo della Volkswagen. Sempre il sindacato autonomo sottolinea l’anomalia di Innova Service, la cui titolare Angela Di Marzo è sotto processo per spionaggio nei confronti dei delegati e iscritti allo Slai Cobas all’Alfa a causa della cimice piazzata sotto il tavolo del city manager del sindaco di Milano Letizia Moratti, Giuseppe Sala, ora a capo della società EXPO 2015, ‘e per altri gravi reati a Firenze’. Dove sarebbe sotto processo anche L. F., ex capo del personale di Innova Service ad Arese, già arrestato un anno fa per corruzione di marescialli dei carabinieri e di utilizzo illecito di banche dati riservate dei servizi.

‘Non sono licenziamenti perchè manca lavoro – ha recriminato lo Slai Cobas – ad Arese ci vorrà sempre qualcuno che sta alle portinerie, fa manutenzione e pulisce i cessi’.

 

AGGIORNAMENTO: sentenza per la microspia trovata nell’ufficio  di Giuseppe Sala

Nel comunicato stampa dello Slai Cobas, sotto questo aggiornamento riportato, si menziona la vicenda della microspia trovata il 7 settembre 2009  nell’ufficio del city manager del comune di Milano Giuseppe Sala all’epoca della giunta Moratti per la quale erano stati rinviati a giudizio i signori Angela Di Marzo, Giuseppe Angelo Di marzo e L.F.  e per la quale il Comune di Milano si era costituito parte civile.

 

In data 29 agosto 2012 è stata pubblicata la sentenza con cui il Tribunale di Milano ha assolto tutti gli imputati dai “reati loro ascritti perché il fatto non sussiste”,  emessa il 31 maggio 2012.

 

La microspia, in realtà un registratore audio, dotato di un ricevitore radio FM, di batteria e di memoria digitale da 1 GByte alloggiato in una spypen, era stata ritrovata da L.F. durante un’operazione di bonifica commissionata dal comune alla società Adm srl dei Di Marzo.  Il circuito elettronico poteva essere utilizzato alternativamente in modalità registrazione o in modalità ricezione, con una capacità media di registrazione di circa sette ore. Una volta ritrovata, la spypen era stata sigillata in una busta custodita nella cassaforte dell’Adm. Successivamente, la perizia giudiziaria accertava nel dispositivo tracce di file cancellati.   

 

Inoltre, lo stesso giorno della bonifica, erano stati rinvenuti pure dei residui di scotch sotto la finestra dell’ufficio di Sala facendo ipotizzare la precedente  di un’altra microspia.

 

Nel corso delle indagini, il pubblico ministero ha poi accertato che due degli indagati avevano precedenti penali per fatti simili e che il terzo era in possesso di una spypen in grado anche di videoregistrare. Il pm con una serie di altri collegamenti, fra cui il fatto che l’allora segretario del comune Mele aveva proposto una bonifica ambientale nell’ufficio di Sala (pur non essendo un esperto di sicurezza) dando l’affidamento diretto dell’incarico alla Adm della Di Marzo senza eseguire un precedente appalto, che i due si conoscessero e che il costo del servizio fosse irrisorio,  ha tratto quale conclusione che il ritrovamento del dispositivo fosse una simulazione  da parte degli imputati per ottenere dal comune di Milano altri incarichi nell’ambito della sicurezza.

 

Tesi accusatoria che non ha convinto il giudice il quale nelle sue motivazioni ha scritto “che non può dirsi che in questo modo la ditta si sarebbe accreditata presso il comune di Milano al fine di ricevere altri incarichi, perché  “la stessa non aveva alcun bisogno di farsi conoscere in tale ambito in quanto la sua titolare era già personalmente nota al segretario generale come persona affidabile, che aveva già svolto incarichi delicati per diverse autorità…” e che per la bonifica ambientale non era stata la Di Marzo a proporsi, “ma glielo aveva chiesto – raccomandandole di tenere bassi i costi – lo stesso segretario generale”.

 

Il giudice ha riconosciuto come “certamente anomali il fatto che la bonifica delle stanze della Direzione Generale del comune di Milano sia stata affidata direttamente alla Adm (peraltro ditta non specializzata nello specifico ambito), senza prima operare una verifica dei prezzi di mercato e accertare quali fossero le ditte maggiormente qualificate nel settore”.

 

Ma ha anche ritenuto che “in mancanza di elementi indicati di altre oscure ragioni, tale condotta può essere attribuita a mera superficialità piuttosto che a indebiti accordi tra il Mele e la Di Marzo per favorire quest’ultima …”. “Può essere – aggiunge più avanti il giudice monocraticoche il collocamento della c.d. microspia sia avvenuto ad opera di persone gravitanti nell’ambiente del comune di Milano a propri fini o per fini altrui. E’ possibile che vi fossero soggetti interessati a conoscere particolari dell’attività svolta in quel periodo dal Direttore Generale definita dallo stesso dott. Mele “delicata” in quanto attinente alle linee strategiche del piano di governo”.

 

Il giudice ha poi considerato favorevolmente il comportamento tenuto dalla Di Marzo  in sede di bonifica, che una volta ritrovato il dispositivo ha interrotto subito le operazioni e avvertito il Direttore Generale della scoperta della microspia, fatte le fotografie, chiesto consiglio al comandante provinciale dei carabinieri di Milano “da lei conosciuto personalmente”.

 

Diverse le considerazioni riguardo ai dipendenti comunali. Scrive il giudice nelle sue motivazioni: “Non si sono, invece, comportati in modo altrettanto lineare i funzionari del comune interessati: infatti gli stessi hanno preso inizialmente tempo – probabilmente allo scopo di evitare la fuoriuscita di notizie scandalistichee hanno provveduto a presentare denuncia soltanto nei giorni successivi. Tale comportamento ha di fatto impedito di eseguire un immediato sopralluogo a cura di sezioni di P.G. specializzate, di cautelare l’ufficio interessato, di rilevare eventuali impronte digitali e di ispezionare i computer dei dipendenti del Comune che erano a maggiore contatto con il Direttore Generale. In secondo luogo, le intercettazioni telefoniche eseguite nei confronti degli imputati hanno dato esito negativo,  esito parimenti negativo hanno avuto le indagini sui computer e sugli altri dispositivi elettronici  rinvenuti in possesso degli imputati non essendo stato accertato alcun inserimento sugli stessi di congegni dotati di porta Usb all’ora  e alla data di creazione dei files di sistema rinvenuti nella memoria della microspia”. 

 

N’ è conseguita la sentenza assolutoria: “ Alla luce di tutte le osservazioni svolte gli imputati devono essere assolti dai reati loro contestati ai sensi dell’art. 530 co. 2 cpp perché il fatto non sussiste”.

 

NOTA GIORNALISTICA: E’ stato quindi accertato che Giuseppe Sala sia stato spiato proprio nel periodo durante il quale il Comune di Milano prendeva importanti decisioni sul piano del governo del territorio con riferimento anche alle aree Expo e Alfa Romeo.

Non è emerso dalla sentenza cosa avesse indotto il segretario comunale Mele ad avere il sospetto che Sala fosse spiato tanto da indurlo a chiedere una bonifica ambientale dell’ufficio del  direttore generale e come mai i funzionari del comune non abbiano proceduto nella maniera che secondo il giudice sarebbe stata giuridicamente più opportuna.

oscuri, purtroppo,  sono rimasti i responsabili dell’intercettazione. 

Ombretta T. Rinieri