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‘Quando entrai in municipio non avevo nemmeno il mio ufficio’

Intervista a Giancarlo Grandi

 

Giancarlo Grandi con la moglie durante una manifestazione pubblica

ARESE – “Quando iniziai a fare il sindaco – racconta Giancarlo Grandi – mi entusiasmò il fatto di creare qualcosa dal nulla. Avevo un grande entusiasmo ed ero incosciente. Non mi sono mai spaventato in vita mia. Per fare il sindaco ci vuole una grande volontà e bisogna rispettare la carica che hai. Se uno è eletto dal popolo, democraticamente, se ne fa una barba delle segreterie dei partiti”.

In altre parole sapersi imporre: “Ho un carattere forte – riconosce Grandi – ma la vita mi ha insegnato a difendermi. Chiedo consiglio e giudico il consiglio. Mi piace giudicare le persone anche per come sono fisicamente. Mi piace ragionarci un po’ insieme: però raramente cambio le mie idee iniziali”.

 

Grandi riprende il filo della memoria: “La fortuna, o sfortuna, è che io ereditai un paese che non aveva niente. Dopodiché fu abbastanza facile, tra virgolette, realizzare quello che pensavo io per centro abitato nell’hinterland nord di Milano. Appena insediato mi recai al palazzo comunale, dove ero convinto di trovare un ufficio per il sindaco e uno per il segretario comunale. Trovai invece un tavolino dietro il quale si sedevano a turno il sindaco e il segretario.

 

Trovai due ottime impiegate. La Pirola me la ricordo ancora. Camminando per il Paese mi accorsi che c’era un’unica strada, la provinciale, che attraversava il centro storico. Il resto era tutta campagna. Non c’era la fogna. Non c’era il gas metano. L’unica scuola esistente era quella che poi è diventata l’attuale municipio”.

 

Nel 1964, l’allora primo cittadino era a digiuno di diritto amministrativo: “Comprai dei volumi e capii che il sindaco era qualcuno. Autorità sanitaria, ed è tutto dire. Autorità scolare, ed è tutto dire. Ufficiale di pubblica sicurezza, ed è tutto dire. Capii che potevo fare il podestà. E feci il podestà, intendendo per podestà uno che sgobba. Che lavora nell’interesse del Paese”.

 

Tuttavia le persone sono importanti e c’è anche un Grandi psicologo: “I miei operai – spiega – erano la mia vita. Gente che lavora otto ore al giorno, che sgobba volentieri. Per appassionarli bisogna stargli vicino. Dargli il buon esempio. Per me l’uomo che lavora è degno di rispetto. Uguale il contadino. Ad Arese i contadini erano molti e questo creava una certa forma di chiusura. Ero visto con diffidenza. Venivo dalla città. Avevo una certa disponibilità economica. Avevo macchine americane. Per cui l’impatto non fu molto gradito alla popolazione. “L’è arrivà il sciur”, dicevano. Capii però che erano persone sincere, dirette e che forzandole un momentino, facendole uscire dal guscio, avrei ottenuto la loro stima. Feci così le prime manifestazioni sportive, le prime feste di paese, la gara ciclistica, quella podistica. Li risvegliai e nacque l’amicizia”.

 

La stessa attenzione per i cittadini, Grandi la mise nella scelta dei collaboratori. “Non ho fatto un concorso di assunzione – racconta – le persone mi piaceva sceglierle. Per me vale molto la bella presenza, Quando tu vai allo sportello e c’è una persona piacevole che sorride, educata, vuol dire molto. Ero severissimo. Uguale con le insegnanti.
Siccome l’asilo nido e le scuole materne dipendono dall’amministrazione comunale, dovetti assumere le maestre. Le sceglievo giovani, appena uscite dalle magistrali. Volenterose di lavorare. Nominai anche la direttrice. Assunsi un nuovo segretario comunale. Scelsi il comandante dei vigili, Cirincione. Qui è uno spasso. A me piaceva tirare in macchina. Scherzavo molto con la polizia stradale. Quando mi fermavano citavo un articolo del codice che mi ero inventato. E di solito ci cascavano tutti. Lui invece no. Mi disse: “Lei non mi prende in giro”.
La cosa mi piacque e gli feci la proposta: “Sei in gamba, viene a fare il comandante da me. Con lui giravo in macchina di notte. Guardavo l’asfalto delle strade, i tempi dei semafori, le curve, quello che non andava. A un certo punto il Tar si svegliò e dovetti sanare la posizione di decine di dipendenti comunali”.

 

Nonostante le nuove responsabilità di sindaco, Grandi continuò a fare l’imprenditore. Seguivo il lavoro sempre – racconta in Italia e all’estero. Ciò mi costò un grave incidente. Dovevo consegnare dei campi da tennis a Modena. Finii all’una e mezza di notte il consiglio comunale. Andai sull’autostrada e per schivare un cassone che mi precedeva chiesi strada. Questo me la diede, però mi trovai altre due persone. Le macchine americane non frenano. Sono volato sull’altra corsia. Anche in quel caso mi andò bene: nella vita ci vuole fortuna. Si fermò un medico, che mi diede le prime valvoline che permettevano anche sotto emorragia di respirare e mi salvò la vita. Mi portarono all’ospedale di Modena. Dodici ore di operazione”.

 

In  tragica fatalità il cuore pulsante di Arese si risvegliò. “Organizzarono dei pullman – ricorda con commozione Grandi – tutto il paese venne a trovarmi. Mi volevano un bene della Madonna”.
O.T.R.
(La Prealpina – 26 aprile 2006)