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Salvatore Borsellino: in via D’Amelio pezzi deviati dello Stato

Salvatore Borsellino, impegnato a denunciare i depistaggi sulle stragi in cui morirono suo fratello Paolo Borsellino e Giovanni Falcone

CESATE – Mentre in Sicilia la Procura di Palermo e di Caltanissetta stanno indagando senza sosta sulle stragi di mafia del 1992, aprendo in questi giorni anche un fascicolo sul fallito attentato ventun anni fa a Giovanni Falcone nella sua residenza dell’Addaura, il fratello del giudice Paolo Borsellino, Salvatore, continua a percorrere in lungo e in largo la Penisola per denunciare all’opinione pubblica i retroscena che stanno emergendo dall’inchiesta giudiziaria siciliana. Anch’egli, senza sosta e con la rabbia del familiare che chiede giustizia dopo tanti anni di silenzio e omertà.

 

E’ accaduto anche giovedì 13 maggio 2010 all’incontro organizzato a Cesate su: “Mafia e Legalità”. Dell’intervento di Salvatore Borsellino se ne riportano di seguito ampi stralci.

 

Se non ci fosse la copertura politica, la mafia militare potrebbe essere sconfitta perché si tratta di un numero limitato di persone. Oggi il governo si vanta di prendere latitanti, ma non è il governo che prende i latitanti. Sono le forze dell’ordine. Sono i giudici. Mentre pezzi dello Stato sono scesi a patti con la mafia nel momento in cui il 1°luglio 1992 a Paolo, nell’ufficio del ministro Nicola Mancino (il quale afferma di non ricordare la circostanza, ndr), gli si è prospettato di tradire Falcone, che era il suo vero fratello gemello perché con lui condivideva ideali e la lotta alla mafia.

 

Paolo ha detto no. Per questo è stato ucciso. E’ anni che lo dico ed è anni che andavano dicendo che sono pazzo, che la mia mente era sconvolta dal dolore. Oggi i giudici di Caltanissetta stanno veramente togliendo il velo, sempre che non li si renda inermi come è stato fatto per De Magistris e la Forleo, togliendo loro le carte.

 

Questa è la nuova strategia. Le stragi provocano troppo la reazione della gente. Dopo le stragi sono obbligatorie le leggi: il rinnovo del decreto legge sui collaboratori di giustizia, che era scaduto da tempo, è stato approvato due giorni dopo la morte di Paolo.

La legge La Torre è stata approvata dopo la morte di Pio La Torre e oggi si cerca di svilire, di distruggere quella legge. Oggi tocca alle intercettazioni, che invece consentono di scoprire la corruzione dei politici.

 

Diceva Paolo: “Palermo non mi piaceva. Per questo ho imparato ad amarla. Volevo cambiarla”. Il vero amore ama ciò che non piace e prova a cambiarlo. Io non ho fatto la scelta di mio fratello. Io e mia moglie, appena laureati, siamo andati via perché non potevamo vivere in una città nelle cui strade si uccidevano persone come Dalla Chiesa, giudici e giornalisti. Non pensavo di poter formare lì una famiglia, perché per lavorare avrei dovuto chiedere dei favori, che avrei dovuto restituire. Ciò avveniva quarant’anni fa. Poi, diciotto anni fa, ho saputo della morte di Paolo alla televisione e allora ho capito che non basta fuggire. Sono fuggito da quel cancro e ora quel cancro me lo ritrovo dappertutto. A due passi da dove abito io, a Buccinasco, c’è il centro della ‘ndrangheta. Come si poteva pensare che nel ricco Nord non sarebbe arrivata la mafia. E’ arrivata qui, dove si costruisce. Dove c’è il picco di traffico di droga. Scappare non serve a nulla. Io che non riuscivo a parlare a più di tre persone, mi sono ritrovato a parlare a centinaia di persone; ai giovani nelle scuole, dal 1992 al 1996. E l’ho fatto perché sentivo Paolo dietro che mi suggeriva. Fintanto che ho sentito la speranza. Poi ho smesso. Ho capito come pezzi deviati dello Stato avessero collaborato attivamente alla morte di Paolo. Per più di sette anni sono stato in silenzio. Ho ricominciato quando la rabbia è cresciuta dentro di me nel vedere che non si potesse avere giustizia. Nel vedere come venivano fermati i processi quando dalla mano armata della mafia si passava ad altri livelli.

 

Dopo ho conosciuto tanti giovani, che avevano letto di Paolo, che conoscevano Paolo e venendo a contatto con loro ho ricominciato a sperare perché ho capito che se anche io non arriverò a vedere la giustizia, questi giovani la vedranno. E allora anch’ io ho ricominciato a sperare come sperava Paolo. A combattere contro questo colpo di stato bianco cui stiamo assistendo e che a poco a poco ci sta facendo scivolare in un baratro. Si sta avverando il programma della P2. Basta andare in Internet, stamparlo e leggerlo per verificare che di quel programma è stato quasi tutto realizzato. Complice un’informazione che si imbavaglia da sola. Finché avrò voce continuerò a gridare: resistenza, resistenza, resistenza >.

 

Buscetta: ‘La mafia ha vinto perché è riuscita a scomparire nel silenzio’. Ma a Palermo, Caltanissetta, Arese e via via per l’Italia quel silenzio si sta riempiendo di voci.
Ombretta T. Rinieri

 

L’agenzia di stampa“Repubblica” vicina a Vittorio Sbardella, ex leader degli andreottiani romani (nulla a che vedere col quotidiano omonimo) scrisse 24 ore prima di Capaci che di lì a poco si sarebbe verificato “un bel botto” nell’ambito di una strategia della tensione finalizzata a far eleggere un outsider come presidente della Repubblica al posto del favoritissimo Andreotti. Il che puntualmente avvenne, così Andreotti fu costretto a farsi da parte e venne eletto Scalfaro.

Anni dopo Giovanni Brusca ha riferito che la tempistica di Capaci era stata preordinata per finalità che coincidono esattamente con quelle annunciate nel profetico articolo. Dunque, o l’autore aveva la sfera di cristallo, o conosceva alcuni aspetti della strategia stragista e aveva deciso di intervenire sul corso degli eventi con una comunicazione cifrata, comprensibile solo da chi era a parte del piano….

 

Leggi l’intervista a Roberto Scarpinato, nuovo procuratore generale a Caltanissetta