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La mia storia in difesa dell’Ordine dei Giornalisti

Nei giorni scorsi il centro destra ha annunciato l’intenzione di abrogare l’Ordine dei Giornalisti. Sulla stessa lunghezza d’onda è da tempo anche Massimo D’Alema. Una deriva che è appoggiata anche dalla Corte costituzionale (sentenza 38/1997)secondo cui con l’abrogazione dell’Ordine “…..non vengono meno l’attività giornalistica professionale, la disciplina contrattuale del rapporto di lavoro, o i canoni deontologici inerenti a tale attività. Questi ultimi derivano, oltre che dal costume, da altre leggi (cui del resto fa rinvio lo stesso art. 2), dalle funzioni del Garante, dalla giurisprudenza in materia e da forme di autoregolamentazione”.

Purtroppo i comuni cittadini non sanno il rischio che corrono con tale manovra, perché l’Ordine dei Giornalisti è soprattutto l’organo di autoregolamentazione della professione, che da una parte tutela i lettori dagli abusi dei giornalisti scorretti e dall’altro protegge la deontologia e l’etica di quelli corretti. Se è vero che in base all’art. 21 della Costituzione tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione noi giornalisti professionisti siamo tenuti in base all’art. 2 della L.69 del 3 febbraio 1963 all”obbligo inderogabile del rispetto sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede’. Pena le sanzioni e, nei casi gravi, la radiazione dall’Albo.

E ora il caso concreto. Dieci anni or sono mi trasferivo da Milano a Senago dove molte scuole sono costruire con i muri interni ed esterni in amianto. Scoprivo che i manutentori entravano nei plessi bucando le pareti con i bambini presenti e l’esistenza di un protocollo d’intesa tra scuola e comune che limitava fortemente i movimenti dell’utenza (i piccoli non potevano fare sollecitazioni a pavimenti e pareti e ciò voleva dire non saltare, correre, tenere i banchi staccati dalle pareti) e obbligava gli insegnanti a controllare i movimenti anche dei genitori quando entravano nelle scuole. Il protocollo invece di essere consegnato alle famiglie al momento dell’iscrizione e alle imprese di manutenzione se ne stava in un cassetto. Scoperto l’inghippo, scrissi il pezzo e da free lance portai l’inchiesta a ‘Repubblica’, che però fece passare giorni senza pubblicare nulla (pare che la collega ‘interna’ non avesse tempo di occuparsene). Andai allora al ‘Giorno’ (allora direttore Vittorio Feltri), dove con tanti ringraziamenti mi promisero l’uscita dell’articolo. Questo effettivamente uscì ma completamente tagliato nelle parti salienti e quindi distorto.
Alla giornalista ‘mamma’ non rimase che coinvolgersi in un comitato di genitori contro l’amianto nelle scuole e consegnare alle famiglie senaghesi il protocollo fuori dalle scuole, denunciare il tutto all’Asl e alla magistratura, chiamare il Gabibbo (che non venne mai) e organizzare assemblee per rendere pubblico quanto accadeva.
Nel frattempo, sul settimanale di zona ‘Settegiorni’, i corrispondenti locali provvedevano a intervistare unicamente l’assessore all’istruzione e il sindaco, rispettivamente Roberto Borghi e Lino Pogliani, per i quali, naturalmente,tutto andava bene e non c’era da preoccuparsi. E per arrivare a controllare quello che andavo via via scoprendo si arrivò a offrirmi una collaborazione su una testata pseudo concorrente con redazione a Sesto San Giovanni, dove guarda caso, collaboravano gli stessi corrispondenti. Così mi sono ritrovata a indagare anche su di loro, scoprendo che i due più anziani, oltre a lavorare per ‘Settegiorni’, avevano una società in comune cui era stato appaltato l’ufficio stampa dell’Azienda Sanitaria Salvini (che controlla cinque ospedali!) ed erano altresì uno corrispondente per il ‘Corriere della Sera’ e uno corrispondente per ‘Il Giorno’. Contemporaneamente, scoprivo, che nell’azionariato del giornale di Sesto San Giovanni vi era un redattore interno del ‘Giorno’ e il parente di un famoso edificatore di Sesto San Giovanni altresì consigliere nella giunta di Filippo Penati’.
Un intreccio enorme fra corrispondenti di quotidiani e settimanali (per la maggior parte pubblicisti o neanche iscritti all’Ordine), potentati economici e politici (a Senago, un altro corrispondente era perfino figlio di un grosso palazzinaro che in quei mesi stava portando a casa la concessione edilizia per la costruzione di un grosso complesso edilizio, sicché quando si recava dall’assessore all’istruzione che condivideva lo stesso ufficio di quello dell’edilizia privata prendeva due piccioni con una fava, sigh!).
Partendo a occuparmi del benessere dei bambini avevo finito per scoprire un pericoloso controllo dell’informazione distorsivo dei fatti sull’intero hinterland milanese (perché ovviamente le cose non si limitavano solamente a Senago e Sesto San Giovanni.
Ho denunciato tutto alla Magistratura e all’Ordine dei Giornalisti. Ma dalla prima sto ancora aspettando la risposta. L’Ordine, allora presidente Franco Abruzzo, senza indugi aprì subito la procedura disciplinare e il Consiglio tutto nel giro di qualche mese ha sanato la situazione e sanzionato.
I corrispondenti di zona hanno dovuto lasciare l’incarico dell’Azienda Ospedaliera Salvini (e la pronuncia ha fatto scuola sull’etica degli Uffici Stampa). Come si sono difesi i giornalisti, i politici e i conniventi cialtroni? Calunniandomi e perseguitandomi in questi ultimi dieci anni in vari modi e maniere. Mai apertamene però. E per delegittimarmi si è tentato di mettermi in testa i cappelli di questo o quel partito, perchè ai politici i giornalisti senza chiavi di lettura preconcette fanno paura. Non sono controllabili. Non sono manovrabili. Hanno due unici padroni: la giustizia e la verità.
Se questa storia, vera (basta andare sul sito dell’Ordine di Milano e controllare) vi ha colpito e volete continuare a essere informati correttamente, difendete allora con le unghie e con i denti l’Ordine dei Giornalisti e difenderete il vostro diritto a essere informati correttamente e quindi la vostra libertà.
Ombretta T. Rinieri

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