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Centenario Alfa Romeo, l’educazione alle “idealità alte”

2016-02-23 16.17.15MILANO – “Anch’io condivido la gradevolezza del piccolo libro su Nicola Romeo – si è espresso nel suo intervento alla Kasa dei Libri  il professore dell’Università Bocconi Severino Salvemini dell’epistolario tra Nicola Romeo e Assunta Kerbaker – è interessante leggere una storia sulla nascita di un’azienda raccontata attraverso un genere di carteggio letterario. Mi sembra in linea con i premi che in questo momento si indicono sulla narrazione delle imprese.  Rilevo anch’io, come Ferruccio De Bortoli, in molti passaggi delle lettere, la forte riconoscenza di Nicola Romeo verso la famiglia Kerbaker, ampia e allegra, che “incitava alle idealità alte” e che accarezzava i ragazzi al buon esempio”.

La bisnonna di Andrea Kerbaker e di Paolo Frova  era talmente brava a rendere in casa sua tale atmosfera, che il giovane Romeo scrivendole da Milano nel salutarla le dice: “Ho per ella sentimenti di eterna devozione”. E’ uno dei passaggi che più ha colpito Salvemini insieme al racconto dei dolci partenopei “divorati” che Assunta aveva fatto arrivare a Lui e a Edoardo a Milano, segno della nostalgia per Napoli in una “Milano molto generosa ma un po’ anaffettiva”, dove vi era un terribile carico di lavoro. E infatti Nicola Romeo confida ad Assunta: “Io lavoro molto, molto molto”. Ed è ancora la nostalgia per Napoli che fa apprezzare qualche anno dopo a Romeo, ormai sposato con la  cantante e pianista Angelina Valadin  e con i bambini piccoli, la cesta di arance donata da Assunta e il ricordo della tazza del caffè sospeso “rimasta imbattibile”.

Seguendo un suo filo conduttore, Salvemini ha poi raccontato la storia di Ferdinando Bocconi, fondatore dell’Università e contemporaneo di Nicola Romeo. “Bocconi –ha detto Salvemini – era un mercante di tessuti che aveva inventato il ramo  dei parchi (che consentiva di stoccare le stoffe e distribuirle in giro per l’Italia) e la vendita per corrispondenza. Era diventato ricco ed era riuscito a trasferirsi in zona corso Venezia dove c’era la Milano che contava pensando di aver raggiunto uno status simile a quello degli imprenditori. Ma Bocconi non è mai riuscito a entrare nel salotto buono di Milano, perché allora era retaggio degli ingegneri che era la classe che proveniva dal Politecnico. Non c’era un altro ateneo che fosse produttivo. Bocconi aveva tre figli e tra il 1870 e il 1880 li mandò a studiare in  America e Germania. Il più bravo, però,  si infilò nel percorso della guerra voluta in Africa dal governo Crispi  nonostante il padre lo volesse successore della sua impresa. Il ragazzo muore nel 1902 in una delle battaglie peggiori per l’Italia.  E’ in sua memoria che il padre fonda l’università Luigi  Bocconi, perché Bocconi voleva finanziare un ateneo che fosse contro quello degli ingegneri. Questa è la mentalità che mi sono ricordato nel momento in cui ho letto questo libro, che è il libro della classe dominante degli ingegneri, molto coerente con quel periodo. E tornando alla domanda: sarebbe il caso di far leggere questo libello alla scuola di management?   Io dico di sì, perché mai come in questo momento, vi è bisogno di una formazione manageriale che oltre che tecnica sia più attenta a una serie di valori culturali e intellettuali”.

Ombretta T. Rinieri

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